(Gianrico Carofiglio, 2017)
Antonio
è un liceale solitario e risentito, suo padre un matematico dal passato
brillante; i rapporti fra i due non sono mai stati facili. Un
pomeriggio di giugno dei primi anni Ottanta atterrano a Marsiglia, dove
una serie di circostanze inattese li costringerà a trascorrere insieme
due giorni e due notti senza sonno. È cosí che il ragazzo e l'uomo si
conoscono davvero, per la prima volta; si specchiano l'uno nell'altro e
si misurano con la figura della madre ed ex moglie, donna bellissima ed
elusiva. La loro sarà una corsa turbinosa, a tratti allucinata a tratti
allegra, fra quartieri malfamati, spettacolari paesaggi di mare, luoghi
nascosti e popolati da creature notturne. Un viaggio avventuroso e
struggente sull'orizzonte della vita. Con una lingua netta, di
precisione geometrica eppure capace di cogliere le sfumature piú
delicate, Gianrico Carofiglio costruisce un indimenticabile racconto
sulle illusioni e sul rimpianto, sul passare del tempo, dell'amore, del
talento.
«E papà suonò da solo. Io non lo avrei confessato nemmeno a me stesso, ma ero orgoglioso e fiero di lui, e avrei voluto dire a chi mi stava vicino che il signore alto, magro, dall'aspetto elegante che era seduto al piano e sembrava molto piú giovane dei suoi cinquantun anni, era mio padre. Quando finí, inseguendo il senso di ciò che aveva suonato in due scale conclusive e malinconiche, scoppiò un applauso pieno di simpatia. E anch'io applaudii e continuai a farlo finché non fui sicuro che mi avesse visto, perché cominciavo a capire che esistono gli equivoci e non volevo che ce ne fossero in quel momento».
«E papà suonò da solo. Io non lo avrei confessato nemmeno a me stesso, ma ero orgoglioso e fiero di lui, e avrei voluto dire a chi mi stava vicino che il signore alto, magro, dall'aspetto elegante che era seduto al piano e sembrava molto piú giovane dei suoi cinquantun anni, era mio padre. Quando finí, inseguendo il senso di ciò che aveva suonato in due scale conclusive e malinconiche, scoppiò un applauso pieno di simpatia. E anch'io applaudii e continuai a farlo finché non fui sicuro che mi avesse visto, perché cominciavo a capire che esistono gli equivoci e non volevo che ce ne fossero in quel momento».
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